gli originali
dagli scritti orginali a…..
UNA DOMANDA LEGITTIMA: DOVE SONO FINITI GLI ORIGINALI?
Chi prende in mano oggi la Bibbia ha il diritto di chiedersi: su quali fonti si basa questo testo? Sono ancora disponibili in qualche biblioteca o museo i manoscritti originali degli autori, per esempio Mosè, Davide, Isaia, Giovanni, Paolo? In realtà, di nessun libro, sia dell’Antico Testamento che del Nuovo, possediamo il manoscritto originale. Nelle più importanti biblioteche del mondo sono conservate soltanto delle copie di copie, che in prima istanza potremmo ritenere non necessariamente corrispondenti ai manoscritti di partenza. Questo ci porterebbe a dubitare della credibilità del testo che abbiamo a disposizione. Perché dovremmo accettarlo come Sacra Scrittura, nella forma in cui si presenta oggi?
(Un’osservazione va comunque fatta: il problema degli originali non c’è soltanto per la Bibbia. Tutto quello che possediamo della letteratura classica antica è giunto a noi in copie di vari secoli più recenti rispetto agli originali)
Tornando alla Bibbia, negli ultimi tempi molti studiosi si sono dati da fare per reperire documenti quanto più antichi possibile. Alcune scoperte sono avvenute in circostanze eccezionalmente avventurose. Raccontarne la storia sarebbe quanto mai affascinante.
Comunque, possiamo affermare con sufficiente convinzione che oggi abbiamo tra le mani un testo biblico che non differisce “sostanzialmente” dagli originali, quali uscirono dalle mani di coloro che li scrissero.
Tuttavia differenze di qualche entità sono inevitabili quando ci si riferisce a testi copiati a mano ripetutamente per molti secoli.
LA SCRITTURA E GLI STRUMENTI SCRITTORI
I popoli della Mesopotamia scrivevano fin dal 3000 a.C. con i cosiddetti “caratteri cuneiformi”, ed usavano in genere, come materiale scrittorio, delle tavolette di argilla: mentre erano ancora tenere, vi si imprimevano segni per mezzo di uno stiletto di legno , e poi venivano essicate al sole, o addirittura cotte come mattoni.
Centinaia di migliaia di queste tavolette sono venute alla luce durante gli scavi archeologici degli ultimi cento anni, a Ninive, Mari, Babilonia, Ur ed in molte altre località. E’ possibile che il libro della Genesi contenga elementi che risalgono ai tempi primitivi, scritti in origine su tavolette d’argilla in caratteri cuneiformi.
Gli Egiziani invece non usavano le tavolette d’argilla, ma un altro materiale che era pratico per la scrittura ma meno conservabile. Con il midollo dell’arbusto di papiro, una pianta della famiglia delle canne che cresceva vicino al Nilo, essi fabbricavano dei fogli che venivano adoperati come noi oggi adoperiamo la carta.
Su questi fogli di papiro essi scrivevano con una specie di penna di canna, intinta nell’inchiostro. I caratteri della loro complicatissima scrittura si chiamavano “geroglifici”.
I fogli di papiro scritti venivano incollati uno all’altro in modo da formare un lungo rotolo. Per la lettura, questo “libro” veniva via via srotolato. Spesso poi gli Egiziani scrivevano su tavole di pietra, incidendo i caratteri con lo scalpello.
E’ esposta in mostra una riproduzione ridotta della Stele di Rosetta (foto a lato), il cui originale si trova al British Museum di Londra.
Come è noto, questo documento fornì la chiave per la decifrazione della scrittura geroglifica egiziana.
Mosè, che – come dice la Bibbia – “fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani” (Atti 7:22), doveva conoscere certamente la scrittura geroglifica, ed anche quella cuneiforme, con la quale venivano compilati i documenti diplomatici per la corrispondenza con le altre corti dell’epoca.
In quale scrittura e su quale supporto furono dunque scritti i primi documenti biblici da parte di Mosè? Non lo sappiamo.
Quello che invece sappiamo con certezza è che quando gli Israeliti si stanziarono nella terra di Canaan vi trovarono la scrittura alfabetica fenicia. Con tale scrittura alfabetica, che usava in tutto soltanto ventidue caratteri, la compilazione di un testo risultava enormemente semplificata.
Quando si tratta di testi ebraici, gli studiosi parlano di scrittura “ebraica antica” o “paleoebraica”; ma in effetti i caratteri fenici (o cananei) e quelli paleoebraici coincidono perfettamente.
Come è noto, i Cananei-Fenici trasmisero la scrittura alfabetica ai Greci, i quali poi la insegnarono agli Etruschi e questi ai Latini.
I caratteri che usiamo noi oggi derivano dunque dalla scrittura alfabetica fenicia. La prima lettera dell’alfabeto si chiamava “alef” e la seconda “beth”, e gli Ebrei le chiamano ancora oggi così. I Greci le chiamarono “alfa” e “beta”, da cui deriva la parola “alfabeto” che è passata in tutte le lingue del mondo.
In Esodo 24:4, 7 si parla del “libro del patto” su cui Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Forse poteva trattarsi di un rotolo di papiro, portato dall’Egitto. Il capitolo 36 di Geremia ci descrive per filo e per segno come si scriveva un rotolo. Questo rotolo o libro talvolta veniva scritto “di dentro e di fuori”, cioè sul “recto” e sul “verso”, o “fronte e retro” (cfr. Ezechiele 2:9, 10; Apocalisse 5:1).
Oltre che di papiro, i rotoli per scrivere venivano fabbricati – in epoca alquanto più tarda – anche in pelle o cuoio. Sia il papiro che la pelle marciscono con l’umidità, pertanto non si sono conservati, salvo circostanze eccezionali. (I frammenti di papiro più antichi con testi biblici sono stati ritrovati in Egitto, dove si sono conservati perché il terreno è più secco. A Qumran nel 1947 furono ritrovati dei rotoli in pelle – conosciuti come i “Rotoli del Mar Morto”).
(a lato: l’alfabeto fenicio utilizzato dagli Ebrei)
Verso il 100 a.C., infine, nella città di Pergamo, in Asia Minore, fu scoperto un metodo particolare per conservare le pelli, in modo da renderle particolarmente adatte alla scrittura: da allora in poi questo materiale fu chiamato “pergamena”. I fogli rimanevano però alquanto rigidi, e pertanto non potevano più essere arrotolati. Nacquero cosi i cosiddetti “Codici”, che sono raccolte di fogli di pergamena cuciti sul dorso, simili ai nostri libri di oggi. I più antichi manoscritti in pergamena che ci sono rimasti sono “soltanto” del IV e V secolo d.C.: si tratta dei Codici Sinaitico, Vaticano, Alessandrino, ecc. Dalla lettura di 2 Timoteo 4:13 deduciamo che forse Paolo possedeva dei volumi simili a questi; egli infatti chiede a Timoteo di portargli a Roma, dall’Asia Minore, i libri (“ta biblia”), cioè i rotoli, e le pergamene (“membrànas”), ossia i codici.
(sotto: le forme dei libri antichi)
LA COPIATURA A MANO
Non riusciremo a capire i fatti connessi con la trasmissione del testo biblico se non ci immedesimiamo nel problema della copiatura a mano. Ma non è affatto semplice capire i problemi degli antichi. Oggi tutti sappiamo leggere e scrivere. Tutti siamo invasi dalla carta stampata. Libri e periodici ci danzano attorno in migliaia di copie. Se abbiamo bisogno di riprodurre un documento, ecco che con la fotocopiatura in pochi istanti il problema è risolto. Ma la fotocopiatrice è stata introdotta poco più di 60 anni fa, e la stampa a caratteri mobili risale soltanto al 1453. (fu Gutemberg, con un torchio e dei caratteri mobili, a stampare le prime copie della Bibbia in Latino). E prima come si faceva?
Partendo dai tempi di Mosè, per oltre 2800 anni i testi biblici furono copiati a mano dagli scribi. Nell’antichità gli scribi erano quasi le sole persone che sapessero leggere e scrivere. Il popolo, se voleva conoscere un testo, doveva ascoltarne la pubblica lettura. Per i testi biblici questo avveniva nelle Sinagoghe (cfr. Luca 4:17 e seg.; Atti 13:15), e nelle riunioni delle prime chiese cristiane (cfr. Colossesi 4:16). Possedere personalmente dei libri era un lusso che pochi potevano permettersi, perché ovviamente la copiatura era un procedimento lungo e costoso.
Un aspetto della mentalità degli antichi ci stupisce non poco: non davano nessuna importanza al manoscritto originale! Quando questo, logoro per l’uso, non poteva più servire per la lettura pubblica, veniva sostituito da una copia, eseguita con cura e controllata. E l’originale, ormai inutile, veniva bruciato o murato! Questo procedimento veniva poi ripetuto per la copia divenuta vecchia, e così via indefinitamente. Di secolo in secolo si eseguivano perciò sempre nuove copie.
Tuttavia esse venivano preparate con grande precisione, che per il popolo ebreo diventò addirittura proverbiale. Comunque, questa pignoleria non scaturiva da esigenze di scrupolosità scientifica, ma dalla profonda e sentita venerazione per la Parola di Dio. E proprio tale meticolosa accuratezza è per noi oggi la più forte garanzia sulla preservazione del testo.
( a lato: copiatura dei documenti sotto dettatura. Mentre un lettore legge ad alta voce l’originale, lo scriba riproduce il documento su un rotolo nuovo)
Il periodo che va dal V al X secolo (l’Alto Medioevo) è stato definito a ragione il periodo dei “secoli bui”. Avvenimenti sconvolgenti si accavallarono. Dal 313 il Cristianesimo diventò religione ufficiale dell’Impero (Editto di Costantino), e la sua carica spirituale si offuscò alquanto di fronte alle ragioni della politica. Poi i Barbari cominciarono a varcare i confini dell’Impero e dilagarono in Italia. L’Impero si sfasciò. Il vescovo di Roma fu chiamato Papa. Gli Arabi, diventati Islamici, si espansero e tentarono di conquistare l’Europa. I Cristiani si divisero in due chiese separate, di rito greco e di rito latino.
I soprusi e gli egoismi dei ricchi affondarono i poveri nella più tremenda miseria. In un ignoranza pressoché generale la superstizione dilagò. Si diffusero le eresie. Si susseguirono i Concili. Si affermarono il culto id Maria e dei Santi. Si venerarono le immagini, si adorarono le reliquie.
Quanto alla Bibbia, il popolo analfabeta sapeva forse solo che esisteva, e lo considerava un libro dotato di strani poteri. Ma in questo immenso deserto di barbarie, in questa specie di necropoli, dove si erano dissolte le ultime tracce della società antica, viene in evidenza e si espande il più straordinario fenomeno religioso, sociale e culturale del Medioevo: il Monachesimo. E, fino all’invenzione della stampa, le copie dei testi biblici vennero eseguite soprattutto dai monaci cristiani, ai quali siamo pure debitori della trasmissione di tutte le altre opere letterarie dell’antichità classica.
In Italia il primo monastero fu quello di Montecassino, fondato da Benedetto da Norcia nel 529. La regola stabilita da Benedetto era “ora et labora”, cioè prega e lavora. Sono note tutte le benemerenze che i Monasteri ebbero in campo economico e sociale. Ma soprattutto essi ebbero l’enorme merito di salvare e trasmettere ai posteri quel che rimaneva della cultura antica. Furono infatti le biblioteche dei grandi conventi benedettini a conservare e tramandarci le Orazioni di Cicerone, le Odi di Orazio, le Storie di Tacito, tutte opere che sarebbero andate altrimenti perdute, travolte dalla furia devastatrice dei barbari.
E dunque, nell’ambito di queste note sulla trasmissione del testo biblico, dobbiamo riconoscere ai monaci il merito di aver copiato e ricopiato anche gli Scritti Sacri, con un lungo, paziente e scrupoloso lavoro. Furono dunque quegli oscuri monaci a compilare i preziosi manoscritti dell’Antico Testamento (in greco) e del Nuovo Testamento, che sono giunti fino a noi.
I manoscritti antichi sia dell’Antico che del Nuovo Testamento sono estremamente rari e preziosi, sono custoditi nelle biblioteche più famose e possono essere consultati solo da studiosi qualificati. Tuttavia, per averne un’idea, in questa Mostra è possibile ammirare rotoli in pelle del libro di Ester e un rotolo della Torah (ossia le Legge, cioè i primi cinque libri della Bibbia). Ovviamente questi rotoli furono scritti a mano, con la scrittura ebraica (che è una scrittura piuttosto difficile, che si sviluppa da destra a sinistra).
rotolo del libro di Ester
La Torah
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Come è noto, nel 1947 fu scoperto a Qumran, nei pressi del Mar Morto, un manoscritto completo del libro di Isaia (il maggior profeta dell’Antico Testamento). Questo rotolo, pur essendo una copia dell’originale, è assai antico perchè risale al 2° secolo a.C. Oggi è custodito a Gerusalemme, in un apposito Museo chiamato Il Santuario del Libro.
quanto ai manoscritti del Nuovo Testamento, vogliamo dare qualche cenno su due fra i più importanti documenti scoperti in tempi recenti che hanno permesso agli studiosi di avvicinarsi sempre di più al testo originale. Sotto è riprodotta una pagina del Codice Sinaitico (fine del Vangelo di Giovanni), oggi a Londra, che contiene tutto il Nuovo Testamento (oltre all’Antico nella traduzione greca dei settanta), e che risale circa all’anno 375. La storia della sua scoperta è veramente affascinante.
Nel 1884 il biblista tedesco Tishendorf, in visita al Monastero di Santa Caterina sul Sinai, riuscì a salvare 129 fogli di pergamena che erano già stati destinati dai monaci ad essere bruciati per il riscaldamento; 43 di essi poté portarli via subito. Egli si accorse che contenevano il più antico testo greco del Nuovo Testamento. In una seconda visita, nel 1853, allorché chiese che cosa ne era stato degli altri 86 fogli, nessuno ne sapeva più niente. Ma nel suo terzo viaggio, nel 1859, l’amministratore del convento gli consegnò un pacco di fogli di pergamena, che oltre agli 86 fogli cercati ne conteneva altri ancora (più di 300!). Tischendorf, in una lettera alla moglie, descrisse la sua reazione di fronte alla scoperta: “Avevo le lacrime agli occhi e in cuore una commozione mai provata…”. Con una lunga e difficile trattativa Tischendorf riuscì a convincere i monaci ortodossi del monastero a donare il prezioso Codice allo Zar Alessandro II, considerato come il patrono della Chiesa di rito orientale. E il Codice rimase a San Pietroburgo fino al 1933, quando il governo sovietico pensò di disfarsene. Fu allora che venne acquistato dal British Museum di Londra per la somma di 100.000 sterline, raccolte mediante una sottoscrizione popolare.
Come secondo documento, riportiamo a lato la copia di una pagina del Papiro P66, noto come Papiro Bodmer II,che oggi si può considerare il più antico fra i manoscritti di testi neotestamentari, e che è anche quello scoperto più di recente.
Nel 1956 il professor Victor Martini dell’Università di Ginevra presentò il testo di un codice papiraceo ancora sconosciuto, proveniente dalla biblioteca Bodmer di Cologny presso Ginevra. Secondo ulteriori ricerche (Hunger, Vienna, 1960) si accertò che il manoscritto risale a non oltre la metà del II secolo d.C. E’ dunque fino ad oggi il più antico manoscritto neotestamentario che contenga un “libro” completo. Le 104 pagine conservate intere presentano infatti il Vangelo di Giovanni pressoché completo. Inoltre, per la prima volta, il testo biblico non è più scritto su un papiro arrotolato, bensì è disposto in forma di libro, benché il materiale sia papiro e non pergamena come avverrà più tardi.