PROVVEDERA’ SPLENDIDAMENTE

(Ep. Filippesi 4:19-20) Il mio Dio provvederà splendidamente a ogni vostro bisogno secondo le sue ricchezze in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia la gloria nei secoli dei secoli. Un passo biblico così  preciso nella fiducia della sua realizzazione, doveva scaturire da una grossa esperienza e condivisione di fede in Dio, perché senza queste dimensioni l’apostolo Paolo avrebbe utilizzato una cautela più sobria, per evitare fraintendimenti o delusioni per i suoi lettori. Il cammino con Dio però lo avvertiva positivamente che in qualunque situazione, l’appoggio divino non sarebbe mai scemato o diminuito fino a evaporare. No; occorre saper discernere la sua volontà che risulta sempre perfetta per i suoi figli, anche quando questa richiede una  sommaria aspettativa, una flebile speranza per le oggettive difficoltà da incontrare, ma un sicuro abbandono nelle sue possenti mani pronte a far tagliare il traguardo della Sua fedeltà.

Splendidamente

 I sinonimi di questo termine sono evocativi di magnificenza, di sorpresa, di sontuosità, di luce e di gloriosa manifestazione  ecc., collegata all’azione del bisogno individuale reclamato con preghiera, supplica e ringraziamento. Nel caso di Paolo si trattava di un soccorso pratico che coinvolgeva diversi attori, tutti impegnati nel sostegno fisico e morale, equiparato a un sacrificio accettevole e gradito come un odor soave e da una comunione spirituale che li univa, per recare lode e adorazione a Dio e al Figlio; ancora, la realizzazione di una efficace liberazione per l’apostolo. Dunque l’invito a confidare in Dio non deve diluire o sfaldarsi in fatalismo o in pessimismo, ma il credente deve essere determinato a ricercare la faccia del Salvatore, e la soluzione divina più propizia con grande fiducia.

Molti perché

 Finito il tempo della spensieratezza o delle forze giovanili, accompagnati dagli anni che avanzano, ci portano tutti a riflettere più ponderatamente e a guardare con più interesse la fine di chi, ha nel passato ha camminato con Dio. Allora, quando arriveranno le difficoltà o le prove, la domanda sarà: Proprio a me? Quale sarà la risposta? Quale esperienza sarò chiamato a sopportare? Con quale forza? Provvederà splendidamente e cosa sarà per mesplendidamente”? Quali saranno quei contorni programmati? Indubbiamente nessuno sa presagire il futuro, ne tantomeno il tormento di ogni giorno; però resta fermo il disegno divino di un soccorso durevole nel momento della sofferenza. Il termine splendidamente nella Parola evoca: (Ev. Luca 16:20) C’era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso e ogni giorno si divertiva splendidamente.(Ep. Giuda 2:3) E avete riguardo a quello che veste splendidamente, (Riveduta Luzzi). Dunque l’aggettivo menzionato si riferisce a un modo di condurre la vita sulla terra e sugli abiti indossati, che a parere degli uomini più in vista emanano luce splendida, ricchezza, sfarzo godibile e gloria da spandere. Orbene questo concetto è estendibile ai credenti o è una forzatura di un traduzione biblica imperfetta? A me pare che gli uomini siano chiamati a vivere dignitosamente, del proprio lavoro come insegna Paolo, ma non a godere splendidamente, perché sovente quella vita rasenta un modo non corretto di disporre dei doni ricevuti da Alto, visto la corta memoria umana e la tendenza al peccato. Quanto al benessere, alla felicità e all’equilibrio non vi è nulla contro, anzi la Bibbia assicura attraverso la comunione con Dio e con i credenti, un proseguimento consono e regolare alla fede professata. Se si possono dunque avere perplessità sulla parola usata e in questione, direi che l’intervento di Dio riserverà sempre soluzioni splendide, che saranno apprezzate da chi le riceve e diverranno una vera fonte di lode e ringraziamento. Certo non bisogna attendersi interventi miracolistici, promossi o profusi a piacere dagli uomini che vantano poteri intermediari non precisati, oppure che inducono a sperare in cose inverosimili. Nessuno pone limite al potere del Signore nel campo miracolistico, ma Gesù afferma “secondo la sua volontà e non secondo il desiderio o le aspirazioni  degli uomini.

Due cose splendide

La prima è: (II Ep. Pietro 1:19) Abbiamo inoltre la Parola profetica più salda, farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il nuovo giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori. Un altro riferimento è sulla luce del corpo che ognuno di noi emana e sul corpo di Gesù, per raffrontarlo con il nostro. A riguardo cito: (Ev. Luca 11:36) Se dunque tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte tenebrosa, sarà tutto illuminato come quando la lampada t’illumina con il suo splendore. (Ep. Ebrei 1:3) Egli (Gesù) che è lo splendore della sua gloria e l’impronta della Sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la Parola della sua potenza. Orbene Pietro ricorda a noi, per la nostra consolazione, che nei momenti più duri e più difficoltosi della vita ci soccorre la Parola di Dio, profetica e affidabile, che splende come fonte di luce attendibile e sicuramente illuminante; basta tenerla in considerazione affinché  diventi patrimonio personale, sorgente di cambiamento come il giorno che allontana la notte o le tenebre. Nel passo riferito viene citato un giorno che deve spuntare e una stella mattutina la quale annunzia una trasformazione genuina, una modifica sostanziale verificabile nei nostri cuori. E’ vero chi crede in Cristo è rinnovato nella mente, nello spirito e nel corpo, proprio dalla Parola di Dio.

 Un nuovo modo di incedere si avvia quando la potenza splendente della Bibbia la si recepisce nel cuore, e la fede in Cristo prende il posto del peccato che giace in noi. Paolo stesso aveva sperimentato lo splendore di Gesù, più potente del sole di mezzogiorno quando il Signore gli era apparito sulla via di Damasco (Atti 9:3-4) E durante il viaggio mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, d’improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo e caduto a terra udì una voce. (Atti 26:13-14) A mezzogiorno vidi per strada o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, la quale sfolgorò intorno a me e ai miei compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii una voce. E’ veramente notevole come il raffronto con il sole, faccia apparire la luce del pianeta più importante del nostro sistema solare, meno luminosa di quella di Gesù. Eppure questa dichiarazione della Parola ci apre la mente per capire che anche noi, mentre percorriamo la nostra via verso Damasco, (Paolo soggiunge (V. 12) con autorità e l’incarico), veniamo fermati. Damasco non è Gerusalemme, non è il luogo del tempio, indice di una estemporanea presenza di Dio; no, è in un territorio confinante, vicino al terreno della promessa, e li veniamo fermati con in mano una documentazione e un investimento particolare.

L’Evangelo ci raggiunge nella nostra vita quando siamo metaforicamente con le spalle rivolte a Gerusalemme e non con lo sguardo orientato al luogo della presenza divina. L’Evangelo ci trova dove siamo, nell’immersione oscura del peccato, proprio mentre confidiamo nella nostra autorità e nei nostri incarichi, e i fogli in mano sono emblematici, perché ci dimensionano umanamente autorevoli e invece siamo come morti. E’ vero le patenti in confronto con la luce e la sua manifestazione non valgono nulla, scompaiono dalla scena, non si menzionano più. Le carte o le pergamene, che decidevano sulla vita e sulla libertà dei prigionieri affidati a Paolo diventano carta straccia; in generale potremmo dire che l’Evangelo è la forza più rivoluzionaria esistente in fatto di liberazione degli schiavi.

Un cambio di prospettiva

 Dunque l’improvvisa liberazione dei prigionieri e dei guardiani, indipendentemente dagli scopi e dai progetti perseguiti da entrambe le categorie, erano attuati da una luce e da una voce dirompenti per conto loro.  Diventa pregevole che il Signore si avvalga delle sue splendenti prerogative per farci intendere la sua salvifica intenzione e la volontà di interferire nella nostra vita. Credo nessuno potrà accusare il Signore di essere stato lasciato indietro o non raggiunto dal suo amore, dalla sua luce e dalla sua voce. Forse non abbiamo tenuto conto dei suoi richiami, degli avvisi a un comportamento più consono e meno imbarazzante, delle sue sollecitazioni a rivedere la nostra vita alla luce dei suoi messaggi. Ogni tanto, personalmente, penso a quegli amici raggiunti in fanciullezza o in giovane età, che hanno goduto abbondantemente della luce evangelica, poi persa per vari motivi nel corso degli anni. Un vero rimpianto e un sincero dispiacere mi assale per quei cari personaggi, che porto nel cuore e nella memoria, ora che i capelli imbiancano e la mente si offusca inesorabilmente, pensarli in balia del giudizio e in rivolta contro il Signore, fa del male allo spirito. Sono scelte, che so per certo sempre dipendenti da stati d’animo, perché quella voce non è lontana e l’eco,  a volte per fatti contingenti, arriva a sfiorare l’intelligenza e la memoria, se non si è optato per un netto rifiuto di Gesù. Confidiamo sempre nella Grazia del Signore. Essere nel terreno di Damasco non è un problema per la misericordia divina che esprime prima di tutto e senza mezze misure: perché Mi perseguiti? Il messaggio è tosto, intrigante, spiazzante, ma necessario per il risveglio della coscienza addormentata e incurante dell’eternità.

La Parola di Cristo deve compiere il suo gesto dirompente, di atterrare tutti gli attori presenti, ma ognuno con delle motivazioni e  delle visioni diverse, che solo Dio sa predisporre perché l’Evangelo prosperi nelle vite delle persone. Damasco è ancora la terra della cecità per Paolo, significativi sono i tre giorni per riacquistare nuovamente la vista, simili ai tre giorni della resurrezione per recuperare la disinvoltura di una nuova vita.  Damasco oltre al terreno dell’essere stupiti (Atti 9:7-9)  è quello appunto della cecità, è quello di essere condotti per mano da qualcuno di altri, che guida e concorre a far sparire l’oscurità spirituale e la confusione di idee, maturate lontano da Dio. Quei tre giorni assomigliano al tempo necessario perché  la voce che annunziava una persecuzione contro Gesù, si trasformi in una voce positiva, di ristoro, di attesa, di rivelazione della volontà divina, per tornare a vivere.

Damasco è ancora terra di digiuno e di svuotamento dalle tossine religiose che non servono a nulla se non a confondere; per poi ritornare a un corpo magari sofferente, preso da spasmi benigni per la fame e per la sete, ma adatti per ricevere lentamente il latte puro della Parola di Dio. Damasco è anche ora terra di percorsi guidati da uno sconosciuto, che si proclama pauroso a condurti per il rispetto della Parola, non è uno spavaldo conquistatore pomposo di anime, ma uno che conduce per la strada chiamata “Diritta,” che trova il Saulo di turno e ti impone le mani della comunione fraterna, ti incita a fare i primi passi nella giusta direzione dell’invocazione del nome di Dio, perché Egli diventi il tuo proprio personale Signore. Il nome di questo anonimo è Anania, che letteralmente significa “Che Dio ha dato”. Quindi uno provveduto dall’economia e dalla Grazia divina, che non ha visto la luce sfolgorante e splendente, ma un credente che con titubanza, quasi con  insicurezza, compie il compito assegnatogli, conoscendo la voce e mettendosi in seguito nel servizio, senza più indugi. Sono quei semplici testimoni del Signore che a tempo debito rispondono pieni di zelo per le cose celesti, i quali sono disposti di solito alla preghiera silenziosa e a non mettersi in mostra, se non chiamati a un compito pubblico, i quali ancora  sanno assolvere le incombenze con dignità e decoro cristiano. Sullo sfondo di questa edificante storia non vi è solo la gioia di una conversione, la comunione spirituale di fratelli ritrovati, il volto di Gesù trasfigurato (Ev. Matteo 17:2) E la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce, oppure (Ev. Luca 15:23) Presto, portate la vesta più bella, ingredienti di un facile Evangelo, così di moda oggi, anche se vero. Vi è anche (Atti 9:16) Perché gli mostrerò quanto debba soffrire per il Mio Nome. Perciò occorre equilibrio per capire dove il Signore vuole condurci nella nostra vita tra un tempo di gioia e un tempo di sofferenze.

La seconda cosa splendida

Nel passo accennato del primo capitolo dell’Epistola agli Ebrei veniva detto che Gesù è lo splendore della gloria di Dio; dunque la gloria divina risplende in Gesù Cristo per raggiungere e non atterrare gli umani nella presenza del Figlio, essendo anche l’impronta della sua essenza. Ma in questa rivelazione splendente della persona del Figlio di Dio, è attraverso la Parola della sua potenza che lo Spirito Santo mandato da Gesù, ci ragguaglia nello splendore del suo Verbo, nell’Evangelo, messaggio glorioso di vita. L’annunzio è condensato e consiste nel seguito del passo citato “ dopo aver fatto la purificazione dei peccati si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi”.

E’ vero il Figlio ha compiuto la purificazione abbuonando e scontando sul suo corpo innocente i peccati del mondo. Risorgendo dopo i tre giorni ha potuto argomentare con il valore del suo sangue e del suo corpo risorto con splendore, che la purificazione aveva avuto corso e ottenuto il risultato preposto cioè la Grazia da evolvere ai peccatori perdonati. Ora il cielo o i luoghi altissimi potevano accoglierlo  e trattenerlo seduto, cioè in fase di evidente riposo, trionfante e splendente. Paolo aveva avuto la visione gloriosa a Damasco, ora scrivendo ai Corinzi ritraeva ancora Gesù dopo averlo ammirato per la fede e lo descriveva in questa maniera (II Ep. Corinzi 4:6) Perché Dio che disse: splenda la luce fra le tenebre, è quello che risplendè nei nostri cuori per far brillare la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo. Orbene nel volto di Gesù splende la luce della conoscenza di Dio; chi vuole essere illuminato da quella luce non ha più bisogno di Damasco, di una visione miracolosa, ma basta volgere lo sguardo verso la Gerusalemme celeste e là incontrare Gesù il Salvatore. L’esperienza che proponiamo può apparire quasi assurda, inverosimile, che rasenta la fantasia. No, è una certezza di fede,  cioè quella di invocare il nome del Signore per essere salvati per l’eternità e stabilire una comunione vivente con Dio e il suo Figlio tramite la Bibbia.

Conclusione

Splendidamente interverrà: si il Signore quando è invocato con fede interviene sempre secondo i suoi piani che non sono i nostri, con il suo braccio potente e la sua visione benedicente per il nostro bene e la nostra crescita spirituale, fatta di passi verso l’incontro glorioso. Preghiamo per i nostri cari lettori, che possano per la fede trasferirsi dalla Damasco terreste, alla contemplazione del Figlio di Dio il nostro Salvatore, cioè nella Gerusalemme celeste alla destra di Dio, dove ora Gesù è presente  e benedice con fedeltà i suoi figli.

Ferruccio IEBOLE

 

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