AUTORITA’ E INCARICO

Nell’episodio della conversione dell’Apostolo Paolo, (Atti 9-2) e (Atti 26:12) risalta con evidenza come due peculiarità della vita religiosa, siano sommamente un costante pericolo per l’orgoglio umano, come “l’autorità e l’incarico,” se non vissute come servizio disinteressato e soprattutto consapevolmente immeritato. Le due particolarità se distorte dalla reale dimensione e dalla loro funzione, le quali devono procedere e prosperare come doni divini; contrariamente determineranno molti danni a quella che è la convivenza e la comunione della fede tra i credenti, perché se le due risorse fossero utilizzate male e a fini personali, porteranno divisioni e superficialità anziché fermezza nella dottrina e umiltà nella testimonianza.

Autorevolezze precarie

(Atti 26-12) Mentre mi dedicavo a queste cose e andavo a Damasco con l’autorità e l’incarico da parte dei capi sacerdoti, a mezzogiorno vidi per strada o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, la quale sfolgorò intorno a me e ai miei compagni di viaggio, tutti noi cademmo a terra e io udii una voce che mi disse in lingua ebraica: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? Non v’è dubbio che le esasperate minacce e le stragi, immaginate da Paolo a carico dei credenti cristiani, finivano nel nulla ed evaporavano quando tutti i componenti di quello strano corteo, composto da aguzzini e prigionieri, si ritrovavano per terra, atterrati da quella luce sfolgorante. La conseguenza dello splendore era accertato, tutti disarcionati e ridimensionati da quella luce, impossibile da arginare o contenere. Una supremazia sorprendente e inarrestabile, evidentemente dimostrazione di una potenza altamente superiore.

L’autorità e l’incarico di quella sfilata si frantumava con un’autorità maggiore; messa a confronto con la rivelazione di una Voce che recava parole intelligibili, pronunciate in ebraico, quelle patenti ricevute dalle autorità religiose, cioè dai sommi sacerdoti, si squagliavano e si potrebbe dire, divenivano carta straccia. Eppure come erano care a Paolo quelle carte o pergamene, erano sinonimo di potenza; la sua indole intransigente e sprezzante nei confronti dei più deboli, il poter prevaricare quei poveracci che credevano nella “nuova via” e vessarli durante il trasferimento, era di certo appagante per uno spirito violento e zelante come il suo, religiosamente parlando. L’implacabile bisogno di una lezione rigorosa e inflessibile sui corpi dei prigionieri era il coronamento propugnato e inseguito mentalmente dal persecutore. Poi, all’improvviso, succedeva l’imprevisto; autorità e incarico si diradavano lasciando Paolo con una cecità concreta e inappellabile. Per toglierla c’era bisogno di un miracolo, che tardava ad arrivare e non si sapeva se si sarebbe concretato. Quali rimedi saranno possibili contro questa cecità? Eppure Paolo pensava di servire il Signore! Domanda: quanti pensano avendo una religione che si dice cristiana, si trovano nel medesimo stato di cecità di Paolo, non avendo mai udito nel cuore la voce di Gesù espressa nel Vangelo?

Oggi, alcuni assistendo a riti autorevoli e affollati si sentono investiti da sicurezze superiori, ma non conoscono la voce suadente di Cristo. Quindi è bene esaminare con umiltà la nostra posizione, per non ritrovarci un giorno atterrati da un giudizio senza appello, in compagnia è vero, ma atterrati. Certo è bello, se udiamo dalla Parola l’invito rivolto a noi stessi: (Atti 9:6) Alzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare; vuol dire che un messaggio di Grazia ci è stato rivolto, indipendentemente se siamo dei religiosi o ci pensiamo credenti. Dio vuole da noi una risposta di fede. E’ importante che ci rialziamo, in maniera eretta, per udire le parole che ci vengono rivolte. Gesù ci parla attraverso la Bibbia; il suo Spirito Santo trasforma queste parole di Grazia adatte alla nostra poca comprensione, perché possiamo sperimentare un nuovo cammino nella Verità biblica. Solo la Parola di Dio e non un’istituzione umana ci occorrono per muovere i primi passi nel percorso della fede, accompagnati dalla Grazia. Le parole evangeliche devono essere incorporate per la fede, trasformate in acqua di vita o come dice l’apostolo Pietro, in latte puro della Parola, per crescere ordinatamente non in autorità, ma in amore, in riconoscenza verso Dio e in comunione con i veri credenti in Cristo.

 Dunque bisogna guardare intensamente a Gesù, per incontrarlo nel racconto evangelico e sperimentare la sua presenza in noi, per udire “entra nella città”. Gesù, ci ragguaglia. (Ev. Matteo 7:29) perché Egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.  Orbene, il Salvatore ha un messaggio diverso da tutti, anche da chi vanta speciale sapienza o conoscenza biblica; la Sua è vera autorità e l’insegnamento proficuo, tale da far entrare non solo nella città, ma: (Ev. Matteo 7:21) Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. E’ vero, non solo Gesù ci fa entrare in città, cioè nel suo accogliente regno di luce (Ep. Colossesi 1:13), ma in quello celeste, e vuole riempirci di certezze affinché la speranza sia viva e sicura. L’insegnamento di Gesù si dipana per noi, come nel caso di Paolo, attraverso Anania, un servo fedele ed esperto di cammino, anche se non ha visto la luce miracolosa di un evento simile a quello del futuro apostolo, ma ha conosciuto lo stesso Gesù in altro modo, detiene con il Salvatore un rapporto di fede e di comunione. Raramente, ne siamo sicuri, non sarà un evento straordinario a farci muovere nella direzione giusta, anche se molti sarebbero felici di vedere un atto eclatante nel campo della fede; piuttosto sarà la cura evangelica e meravigliosa di un anonimo, che ci prende per mano quando siamo ancora ciechi, e ci reca con sicurezza nel terreno di ricovero e di sostentamento. Si, oltre a qualche testimone di Cristo impiegato in questo compito, è lo Spirito Santo con la sua potente azione, il maggiore maestro della fede.

L’autorità di Gesù

(Ev. Matteo 9:6) Affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati. Una frase così perentoria trova anche oggi la sua validità; molti non conoscono affatto quanto affermato dal Signore stesso in questo passo. Pensano piuttosto il Salvatore affaccendato in molte altre cose e sordo a certe richieste di soccorso e di perdono. No! Lui è sempre pronto a perdonare chi Lo invoca perché Lui solo ha pagato il prezzo del riscatto dalla morte, a favore dei peccatori pentiti e convertiti. Il poter perdonare è una materia affascinante per la mente religiosa, alcuni si arrogano il potere di perdonare in nome di Dio gli altri uomini, vantando un’autorità usurpata e non delegata, mai ricevuta dal Signore. La cosa triste è che alcuni dei ricorrenti a questa pratica, si crede e pensa di essere a posto, cioè sentirsi  perdonati in quel modo, confidandosi nell’uomo. Purtroppo è una cocente illusione. Nell’episodio della guarigione dei due ciechi l’insegnamento del perdono è chiaro e inconfutabile. (Ev. Matteo 9:27) Abbi pietà di noi, Figlio di Davide! La richiesta è giusta, perfetta e indirizzata giustamente al Signore. La risposta è: (Ev. Matteo 9.29) Vi sia fatto secondo la vostra fede. Dunque se la mia fede è riposta in Gesù riceverò il perdono dei peccati, se la mia fede è riposta in un uomo, i miei peccati rimarranno! Gesù non autorizza nessuno a prendere il suo posto, perché Lui solo ha quell’autorità, (Ev. Matteo 9:8) la folla glorificò Dio che aveva dato tale Autorità, e (Ev. Matteo 20:28) per dare la Sua vita come prezzo di riscatto per molti. Qualcuno avvalendosi di parole scritte nel Vangelo pretende di perdonare, come detto i peccati altrui, ma Gesù nel suo insegnamento con autorità, dice chiaramente chi è l’individuo che può perdonare; esso è colui il quale è in grado di assolvere il dettato di Cristo nel perdono: (Ev. Matteo 18:23) Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Si, se qualcuno ha questi requisiti, è in grado di perdonare il fratello: cioè nessuno; perché nessuno possiede una tale capacità di perdono! Dunque risulta evidente che solo: (I Ep. Giovanni 17) il sangue di Gesù suo Figlio, ci purifica da ogni peccato;  solo quello e nessuna confessione otterrà risultato.

Tutte le cose che legherete sulla terra

(Ev. Matteo 18:18) Tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra saranno sciolte nel cielo. Questo passo biblico sovente è preso come spunto o pretesto per sostenere un potere che Gesù ha dato sia ai discepoli e che ad altre persone, quindi nessuna esclusiva di alcuni che si sentono i continuatori dei discepoli di Gesù e vogliono avvalersi di tale presunto e esclusivo potere, per perdonare i peccati di chi si confida in loro. Orbene, le cose che “legherete o scioglierete” riguardano la testimonianza cristiana resa a chi non conosce l’opera di redenzione di Gesù Cristo, nella sua profondità e nel suo valore; e sono molti! Quelli che invece non si avvalgono e non pretendono tale potere, è perché sono quelli abituati a riunirsi nel Suo nome (Ev. Matteo 18:20), nel nome di Gesù, sono minoritari, due o tre, ma realizzano con l’aiuto dello Spirito Santo la presenza del Salvatore nel loro cuore e lo adorano in Spirito e Verità. Altresì sono quelli che si accordano e domandano per loro, cose inerenti alla volontà divina, (Ev. Matteo 18:24 a 27) e avendo cominciato a fare i conti … il Signore di quel servo lo lasciò andare e gli condonò il debito. Si, sono quelli che hanno capito l’impossibilità di pagare il debito verso Dio, perciò sperano per fede nell’unico riscatto pagato dal Redentore, che assolve per l’eternità. Perciò il legare o lo sciogliere non riguarda il perdonare i peccati da parte di uomini, ma riguarda l’annunzio e il risultato della predicazione della fede in Cristo. Chi crede alla predicazione fatta da anonimi Anania, suggellata dallo Spirito Santo è predisposto per essere adottato da Dio come erede.

L’autorità di Paolo

Dopo un’esperienza così importante e così esclusiva come quella vissuta da Paolo, verrebbe da domandarsi quale autorità poteva vantare in seguito, avendo visto una luce meravigliosa e udito dal vivo la voce di Cristo, apparso esclusivamente per lui sulla via di Damasco, ex persecutore della chiesa e ora testimone della Grazia. Come utilizzava l’apostolo questa posizione? (II Ep. Corinzi 13:10) Secondo l’autorità che il Signore mi ha data per edificare e non per distruggere. Dunque  l’intento paolino era impiegato per edificare i credenti, non per assolvere peccati dietro confessione auricolare, ne tantomeno per usare l’autorità apostolica per il mero spirito di comando e di organizzazione in una chiesa locale. Alla base del pensiero di Paolo v’era: (II Ep. Corinzi 10:17-18) Ma chi si vanta, si vanti nel Signore, perché non colui che si raccomanda da sé è approvato, ma colui che il Signore raccomanda. Orbene è evidente cosa pensava l’apostolo sull’autorità; e se al suo figlio spirituale Tito scriveva: (Ep Tito 2:15)  esorta e riprendi con piena autorità, questa non poteva essere disgiunta dal riferimento da cui dipendeva, cioè: (Ep Tito 2:11-12-13) la Grazia di Dio salvifica si è manifestata,….Aspettando la beata speranza,…Egli ha dato se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità. Come citato, il riferimento sicuro è la predicazione dell’opera di Gesù, riportata con serietà di parole e di sapienza celeste, non una presunta autorevolezza da far valere su gli altri credenti, con subdoli sistemi di pressione psicologica adoperata per discepolare.

L’autorità  e l’incarico odierni

Oggigiorno gli uomini religiosi hanno inventato delle scuole così dette bibliche o dei seminari, per accelerare la sapienza nelle cose che riguardano le dottrine della Bibbia. Credono che con corsi affrettati si possono sveltire la comprensione e  il bagaglio di sapienza spirituale, per poi presentare in maniera consona il succo di un messaggio, e affidare incarichi di prestigio a chi frequenta i percorsi scolastici. La vita cristiana però è diversa dall’istruzione; Paolo era molto più istruito e con più conoscenza di Anania, ma era cieco; allo stesso modo i frequentatori dei corsi biblici, alla fine saranno più sapienti per i simposi frequentati, ma occorre sapere se sono ancora ciechi. Quindi i rimedi pensati e immaginati dagli uomini si rivelano quasi sempre meno efficaci del previsto con i loro programmi efficienti, perché la spiritualità e il cammino con il Signore, richiedono ben altro impegno che un corso didattico, comportando altre materie ed altre esperienze.

 Eppure, per esercitare l’incarico odierno, in molte chiese occorrono questi requisiti, competenze umane per cercare di tenere uniti i credenti e appianare i caratteri divergenti; purtroppo non sono questi i presupposti della comunione tra membri e tra chiese. I componenti nella fede in Cristo, sono uniti se apprezzano non l’incarico o l’autorità, ma (Ev. Luca 22:26) come colui che serve. E’ vero, per il servizio e l’edificazione non servono risorse umane fine a se stesse, occorrono spirito di preghiera e  di comunione con lo Spirito Santo, che illumini la vista spirituale come aveva fatto a Paolo con quella corporea e in seguito operando sull’altra. Siccome non siamo  ne per l’ignoranza ne per l’analfabetismo biblico, occorre stare ai piedi del Signore, udire la sua voce e la sua guida nell’Evangelo, unica fonte che parla al cuore e nutre la fede.

Un’attività anelata dagli uomini religiosi sono gli incarichi, come visto, molti si avvalgono di passi: (Ep. Tito 1:5) Costituisci degli anziani in ogni città secondo le mie istruzioni. Bene, bisognerebbe sapere quali sono le sue istruzioni per non confonderci ed eseguire più perfettamente la volontà divina. Purtroppo, sovente la parte che più interessa è quella di costituire o incaricare, che verificare i requisiti descritti in: (Ep. Tito 1: 6 a 9). Alla fine, però ci si ritrova con: (Ep. Tito 1:16) Professano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, essendo abominevoli e ribelli, incapaci di qualsiasi opera buona. Che desolazione quando si esce dal  cammino prescritto dall’autorevole Parola di Dio e si da valore a comandamenti d’uomini, a commentari di dubbia efficacia e non si accetta l’insegnamento esclusivo di Gesù nell’Evangelo.

Conclusione

(Ep Tito 3:5) Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia. Dunque, la Scrittura ci ragguaglia potentemente affermando, che è la misericordia di Dio la vera fonte della nostra salvezza, non per opere giuste da noi praticate, ma solamente per la Grazia di Gesù il nostro Salvatore. E’ quello che noi speriamo anche per i nostri cari lettori che raccomandiamo alla protezione e Grazia  divina.

Ferruccio IEBOLE      

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